Politiche ambientali come reti locali per l'innovazione

Prof. Giancarlo Corò (Università di Urbino)
Prof. Paolo Gurisatti (Università di Padova)

Abstract

L'ipotesi da cui prende spunto il nostro contributo, basato su esperienze di ricerca applicata ai sistemi produttivi di Pmi, è che le politiche ambientali rivolte all'industria possano incontrare condizioni di maggiore efficacia se le impostazioni di tipo regolamentativo vengono integrate, e in parte sostituite, da azioni dirette ad elevare il grado di innovazione e internazionalizzazione dell'economia locale. In altri termini, una strategia orientata ad attivare reti dell'innovazione fra Pmi, e che abbia come principale obiettivo quello di rafforzare i potenziali competitivi del territorio, può generare effetti ecologici più sensibili e duraturi nel tempo - in termini di riduzione degli impatti inquinanti, maggiore efficienza energetica e, più in generale, di bilancio globale delle risorse - che non un approccio direttamente focalizzato sulle componenti ambientali dello sviluppo.
Il nostro contributo intende analizzare, in particolare, l'esperienza di un distretto industriale conciario nel quale i problemi di impatto ambientale rappresentano un aspetto rilevante del ciclo produttivo. Tuttavia, le considerazioni che emergono da questo studio di caso possono venire in larga misura generalizzate ad una più ampia classe di situazioni produttive caratterizzate dalla presenza di piccole e medie imprese industriali. Sulla base di risultati tratti anche da altri studi (per una rassegna si rinvia a Enea-Poster, 1999), è possibile mostrare che proprio il modello organizzativo dei distretti industriali può fornire le condizioni favorevoli per generare miglioramenti energetici e ambientali attraverso l'implementazione di più generali politiche economiche per l'innovazione. Infatti, la concentrazione su un unico territorio di imprese con cicli tecnici omogenei e collegate in filiera rende più agevole il coinvolgimento della catena dei fornitori nelle strategie di miglioramento ambientale dei processi e dei prodotti. In questo senso, l'efficienza nel sistema di diffusione delle innovazioni può generare più facilmente spill-over tecnologici anche nel campo ecologico, ma a condizione che ciò risponda a strategie di mercato, come l'adesione a politiche della qualità e sistemi di certificazione ricercati dai gruppi leader o dai buyers internazionali. Inoltre, la presenza di istituzioni fiduciarie e di governance della politica industriale può favorire modelli di gestione condivisa di infrastrutture locali (di servizio, formazione, trasferimento tecnologico, oltre che direttamente ambientali) e fornire un più efficace quadro di incentivi volontari anche nelle piccole imprese per l'implementazione di normative e decisioni vincolanti. Infine, ma è forse questo uno degli aspetti decisivi, è necessario considerare come gran parte dei distretti industriali italiani stia oggi manifestando una tendenza verso una crescente apertura internazionale delle reti produttive, con processi delocalizzativi che comportano un utilizzo più intensivo di nuove tecnologie e di moderni sistemi logistici.
Il caso studio che intendiamo presentare è quello del distretto conciario di Arzignano, che affronta in questa fase quattro sfide cruciali per il suo futuro:
- la codifica e il trasferimento di conoscenze localizzate, che sono ancora oggi base insostituibile per la gestione efficiente dei processi tecnici;
- la ricerca di soluzioni tecnologiche che riducano il consumo di energia, di acqua e solventi, migliorando nel contempo la qualità delle forniture ai settori utilizzatori;
- la delocalizzazione di alcune fasi del ciclo, la parte umida soprattutto, verso i paesi produttori di materia prima, con risparmi sui costi a parità di qualità dei semilavorati;
- il cambio di reputazione dell'industria prevalente nel distretto, nell'immaginario collettivo e delle giovani generazioni, al fine di arginare la fuga delle risorse sofisticate e attirare, al contrario, investimenti innovativi.
L'esperienza realizzata tra il 2000 e il 2001 mostra che la gestione innovativa della catena del valore, delle relazioni tra imprese che si collocano a diversi stadi del processo tecnico, costituisce la base per uno sviluppo sostenibile, più delle normative tecniche e dei controlli esterni.
Fondamentale è la possibilità che gli attori protagonisti del sistema locale giungano a condividere un "nuovo quadro tecnologico", vale a dire un nuovo approccio ai problemi del settore in cui operano, una nuova gerarchia tra i parametri di prodotto e processo. La possibilità, ad esempio, che il sistema si orienti verso la fornitura di singole pelli certificate, piuttosto che pallets di prodotti alla rinfusa, porta tutti gli attori a ricercare soluzioni tecniche innovative (dalla raccolta presso il produttore, alla verifica in spaccatura, fino alle delicate operazioni di finissaggio) che superano le difficoltà connesse al processo tradizionale.
La costruzione sociale di un nuovo prodotto o di un nuovo processo è, in prospettiva, capace di superare i problemi ambientali delle lavorazioni di massa, più dei controlli effettuati sugli impianti tradizionali.