Risorse, materie
prime e conflitti strutturali: un progetto di ricerca
Prof. Ennio Di Nolfo
Università
di Firenze
Il tema delle materie prime non è nuovo dal punto di vista storiografico.
Nemmeno è nuovo il progetto di cercare un filo conduttore nel valutare
l'importanza del tema nell'ambito dei conflitti internazionali. Qual è
dunque il contributo originale al quale la ricerca che stiamo elaborando
intende pervenire?
Che la lotta per le materie prime sia stata alla base di infiniti conflitti
è evidente sin dalla preistoria, quando gli uomini si combatterono
per il controllo di una terra di pascolo o di una miniera di ferro. Il
mutare delle conoscenze modificò i termini del problema, non la
sua natura, considerata dal punto di vista concettuale. Si combattesse
per l'oro, il grano, il petrolio o l'uranio, la natura era la medesima,
poiché riguardava sempre la capacità di disporre di una
risorsa strategica o per la sopravvivenza o per il predominio.
La questione si pone in termini più aperti e controvertibili quando
si cerca di correlare, come è pur stato fatto sul piano generale
dai teorici dell'imperialismo, materie prime, processi produttivi, flussi
finanziari, mutamenti tecnologici, trasferimento dei prodotti finiti,
trasferimenti tecnologici e demografici, commercio internazionale e organizzazioni
giuridiche di questo. L'intersezione fra questi elementi offre prospettive
più complesse e, se trasferita dal piano teorico a quello empirico
dell'esame dei casi, propone una griglia interpretativa alla cui costruzione
è interessante collaborare.
Il punto di intersezione principale riguarda probabilmente i concetti
di materie prime e tecnologia. La funzione di una materia prima è
correlata anzitutto a una tecnologia che ne avvalori l'uso. Senza la scoperta
delle tecniche di estrazione e raffinazione, il petrolio poteva rimanere
per secoli inutile e inutilizzato. I processi produttivi sono a loro volta
legati alla tecnologia e quelli finanziari costituiscono la cornice o
il presupposto o l'effetto del processo tecnologico medesimo.
Bisogna dunque anzitutto correlare, mediante esempi concreti, il concetto
di materia prima e tecnologia. Mi spiego in modo più chiaro.
Se circoscriviamo l'analisi al periodo successivo alla prima rivoluzione
industriale, la tecnologia riguarda la capacità di produrre energia
con metodi diversi dal lavoro dell'uomo, così da poter produrre
più merci a costi inferiori. "Senza dubbio, scrive un fisico
dell'Università del Maryland -J.B. Marion- l'energia è il
concetto fisico più importante che si incontra in tutta la scienza"
In questo caso la tecnologia è quella della macchina a vapore e
la materia prima è il carbone, la cui combustione consente la produzione
del vapore compresso che genera energia. La cornice finanziaria si concentra
nel rapporto costi di produzione/profitti. Dati questi presupposti, la
prima rivoluzione presuppone il controllo della materia prima carbone
e degli impianti utili per trasformarlo non solo in fonte di calore ma
anche di energia. Non è un caso che la Gran Bretagna sia all'origine
della prima rivoluzione industriale e che questa si manifesti nell'Europa
continentale in prossimità dei bacini carboniferi, che diventano
carbosiderurgici, poiché la siderurgia è il primo prodotto
della nuova tecnologia. E' appena il caso di osservare dunque che la nuova
accumulazione di ricchezza sia condizionata dal controllo dell'area renana,
di quella della Slesia, di quella del bacino del Don o di altre regioni
che, per loro collocazione meno strategica, provocano meno conflitti.
Forse si potrebbe aggiungere che anche il controllo di altre materie prime
(il cotone greggio per l'industria tessile) o quello dei mercati di sbocco
dei prodotti rappresentano variabili non marginali rispetto al processo
produttivo. Ciò è ben vero ma la necessità di rendere
più lineare l'argomentazione richiede che essa si arresti alla
prima fase. Il tema acquista valenza storica internazionale in diversi
sensi: nel senso diretto, come contesa per il controllo e il trasferimento
di risorse necessarie; in quelli meno diretti, relativi alla destinazione
del prodotto (mercato interno/ mercato internazionale, protezionismo/liberismo)
e relativi alla destinazione dei profitti. A sua volta questa, che nella
fase del carbone ha forse un valore meno appariscente dal punto di vista
quantitativo, rivela la sua evidenza se si esamina l'assetto proprietario
delle maggiori imprese, la nazionalità o internazionalità
dei capitali esistenti, la destinazione ultima del profitto, cioè
il mercato finanziario che esso alimenta.
L'insieme di questi temi acquista spessore ancora maggiore con la seconda
rivoluzione industriale. La scoperta dell'energia elettrica e del modi
di riprodurla sul piano industriale diedero una nuova scossa a tutti i
sistemi produttivi. In quelli più avanzati, l'energia elettrica
prese il sopravvento sul carbone. Non fu mai un sopravvento completo.
Se è vero che nei mesi scorsi è stata chiusa l'ultima miniera
della Saar, resta pur vero che in Cina circa l'80 per cento dell'energia
elettrica viene ancora prodotta con il carbone.
L'energia elettrica può infatti essere prodotta almeno in quattro
modi, che richiedono diverse materie prime (escludo l'energia eolica,
quella solare, ecc. poiché hanno una rilevanza quantitativa marginale).
I quattro modi sono: lo sfruttamento della caduta di acque nei condotti
delle turbine che producono energia; l'uso del carbone; quello del petrolio
e quello dell'uranio. Rappresenta già un elemento utile per orientare
la ricerca la conoscenza, forse facilmente acquisibile, della distribuzione
quantitativa dei sistemi di produzione e le tendenze in atto. E' verosimile
che il declino del nucleare, l'inquinamento derivante dall'uso del carbone
e la relativa limitatezza dell' elettricità prodotta da turbine
a acqua lascino il primo posto al petrolio (almeno sino a quando la "fusione
fredda" non sia divenuta una realtà prima scientifica e poi
industriale). Vale la pena di osservare, di passaggio, che non a caso
la grande industria italiana prosperò nell'area subalpina, grazie
ai grandi impianti elettrici azionati dalla caduta di acqua.
Pur trascurando la caduta d'acqua come elemento conflittuale, considerata
la difficoltà di trasportare questa materia prima, si pone allora,
sul piano storiografico la questione di correlare la localizzazione delle
materia prime tradizionali (carbone) o nuove (petrolio e uranio o torio)
rispetto alla produzione di elettricità e di esaminare se, quando,
dove e come questo aspetto produca conflitti e abbia ricadute finanziarie.
Se si tralascia il caso, già toccato, del carbone, diviene necessario
concentrarsi sulle risorse petrolifere e su quelle di minerali radioattivi.
Senza eccedere nell'esame dei casi, appare utile indicare le aree geografiche
dove queste risorse esistono, quale la loro importanza quantitativa nel
processo produttivo, quale è il regime proprietario delle specifiche
risorse, quale il regime commerciale e giuridico del trasferimento delle
risorse stesse.
Queste possono appartenere a soggetti privati o a soggetti pubblici, secondo
una varietà di regimi giuridici assai complessa: dalla proprietà
statale, al regime di concessione onerosa secondo clausole variabili.
Importa anche conoscere il luogo di utilizzazione delle materie prime
(in particolare del petrolio), se interno o esterno al paese possessore,
per collegare i vari punti toccati in precedenza con il problema dell'utilizzazione
della risorsa prima. Infatti l'utilizzazione cambia secondo che il regime
proprietario sia privato; di controllo in concessione; di controllo finanziario;
di controllo tecnologico; di controllo pubblico, cioè politico.
Tutti casi che pongono la questione di conoscere la natura politica del
rapporto fra chi controlla la materia prima e chi la utilizza e secondo
quali regole.
L'utilizzazione non diretta di materie prime (che è il caso più
frequente nella storia della produzione successiva alla seconda rivoluzione
industriale) enfatizza il problema delle regole per lo sfruttamento e
suscita anche la questione della destinazione ultima del prodotto finito.
In tal senso una profonda divaricazione va messa in luce tra il tema dell'uranio/torio
e quello del petrolio. Nel primo caso, il controllo del minerale è
relativamente agevole, circoscritto e condizionato dalla natura del prodotto,
più che dall'assetto proprietario. Non esiste più, a quanto
pare, un problema di scarsezza di uranio arricchito per la produzione
di energia elettrica e non esiste più il problema dell'uso di minerale
arricchito per produrre energia destinata a usi militari. Questo tema
ha assillato gli anni dal 1949 al 1991. Esso potrà riproporsi in
avvenire, ma l'esame storico dei conflitti suscitati, sul piano industriale,
tecnologico e militare dall'utilizzazione dell'energia nucleare costituisce
un ambito dai confini ben delimitati. E altrettanto ben caratterizzati
come uno dei temi che conferiscono maggiore evidenza al rapporto materia
prima, tecnologia, processo produttivo e conflitti internazionali (assai
meno rilevanti, forse, gli aspetti finanziari). Proprio la relativa compiutezza
di questa faccia della medaglia consente di individuare tutti gli aspetti
del quadro che si vuole comporre e di collocarli in un contesto dove i
collegamenti conflittuali di natura internazionale sono più che
evidenti - anche perché resi manifesti dall'utilizzazione della
materia prima come materiale bellico. La coincidenza di questa tematica
con l'arco cronologico della guerra fredda, intesa in senso lato, favorisce
l'intersezione. Il problema di fondo diviene quello di capire se e fino
a che punto questo tema dominasse il conflitto o ne fosse piuttosto un
aspetto, importante ma simbolico, più che reale: talché
il valore della materia prima e il problema del suo controllo tendono
a diventare marginali rispetto al nuovo tema affiorante: la progressione
tecnologica. Ciò pone il problema di inserire la variabile tecnologica
nel quadro della teoria generale del rapporto conflitti/materie prime,
che costituisce il fulcro di tutta la nostra ricerca. Qui il rapporto
materia prima- controllo- sfruttamento- produzione di energia- destinazione
dell'energia - usi pacifici o militari della stessa sono stati intrecciati
a una serie di processi politici facilmente identificabili anche se difficili
da districare. In tal senso, questo aspetto della ricerca che tende a
costituire un modello delle possibilità di correlazione fra risorse
prime e storia delle relazioni internazionali si pone nel modo più
preciso.
Invece tende a sfuggire la complessità del ruolo del petrolio.
A tale proposito è necessaria una prima considerazione relativa,
in generale, all'estensione delle aree geografiche interessate al fenomeno.
E, all'interno di questa, fra aree controllate da soggetti giuridici,
privati o pubblici, interne a un sistema produttivo che esaurisce la risorsa
o esterne a esso. Le prime di queste aree non pongono problemi internazionali
se non sul piano finanziario. Le altre pongono tutte, in varia maniera,
problemi internazionali, sia quando le risorse sono già sfruttate
sia, e forse soprattutto, quando sono nella fase preliminare rispetto
allo sfruttamento. Si dovrebbero qui richiamare alcune considerazioni
svolte a proposito del carbone, ma forse è sufficiente aver fatto
questa osservazione.
Il rapporto fra chi controlla il petrolio e chi lo acquista per destinarlo
al proprio modo di produzione produce un vero e proprio reticolo di relazioni
internazionali, oggetto di estesa letteratura. In altri termini, lo sfruttamento
delle risorse di idrocarburi (per usare l'accezione più generale)
può avvenire mediante una serie di criteri giuridici, di scambi
politici, di scambi tecnologici, di relazioni finanziarie, di conflitti
militari da richiedere che l'insieme sia destrutturato in varie ipotesi
di ricerca, che possono toccare o la suddivisione geografica o un determinato
profilo del rapporto. Da un punto di vista pratico e meno generale, ciò
che importa chiarire bene è la possibilità di istituire
un rapporto di causa/effetto fra il bisogno di controllare gli idrocarburi
e l'effettiva esistenza di azioni politiche o politico-finanziarie mirate
a tale obiettivo; e la misura in cui queste attese abbiano generato (nei
casi specifici esaminati) tensioni conflittuali limitate o generali. Per
dirla in modo banale ma diretto: il conflitto deriva dalla volontà
di potenza e dalla necessità per un sistema produttivo di disporre
di questa fonte di energia o, viceversa, l'esistenza attuale o potenziale
di risorse petrolifere accende motivi di conflitto? La classificazione
storica contribuirà a dare una serie di risposte a queste domande
specialmente in relazione all'area mediorientale, a quelle nordafricana
a quella della penisola arabica e a quella russa.
Non proprio tra le fonti primarie della produzione di energia ma come
tema emergente rispetto ai processi produttivi si pone il problema del
regime di sfruttamento delle risorse idriche. In molti casi, questo è
un tema che riguarda la politica ambientale interna di un paese. Ma in
altri casi questo è un elemento nuovo che va tenuto presente poiché
riguarda una risorsa energetica indispensabile per la sopravvivenza della
specie. Inoltre la scarsità delle risorse idriche è già
elemento di conflitto in alcuni casi abbastanza noti e potrà diventare
un aspetto conflittuale del processo produttivo qualora il tema, oggi
presente in modo non diffuso, acquisti una maggiore rilevanza.
L'intreccio fra materie prime e tecnologia è apparso con evidenza
sin dalla prima rivoluzione industriale. La terza rivoluzione industriale,
quella espressa del concetto di età tecnologica, pone in termini
diversi il problema. Ora, il processo produttivo, per sua natura, poggia
prima sulla tecnologia che sulle materie prime di cui essa si vale. Perciò
l'esistenza e il trasferimento di un certo know how divengono essi stessi
elementi del quadro che stiamo costruendo. Sono elementi che riguardano
tematiche lineari quando il trasferimento ha luogo fra chi possiede tecnologia
e chi non ne possiede e deve entrarne in possesso, secondo un diverso
grado di sofisticazione. In questo caso si pone il problema di capire
sino a che punto il trasferimento tecnologico rappresenti una nuova versione
del rapporto coloniale e abbia contenuti conflittuali.
Quando il processo tecnologico mette a confronto condizioni non eguali
ma analoghe, acquista senso chiedersi se ciò preluda a una globalizzazione
accompagnata dalla inevitabile propagazione di un sapere comune oppure
se un divario tecnologico anche modesto si possa riflettere sul piano
politico.
Nel caso opposto, si apre il ventaglio dei problemi, classici dal punto
di vista dello studio della colonizzazione, della qualità, della
natura e dei modi del trasferimento. Così come per le risorse prime,
anche i trasferimenti tecnologici richiedono forme organizzative che possono
essere esaminate nella loro natura e delle quali, in questa sede, e dal
mio punto di vista, risulta importante percepire la portata conflittuale,
effettiva o potenziale. La politica commerciale può essere organizzata
o lasciata ai rapporti di forza, ovvero a una combinazione fra i due aspetti.
Le conseguenze generali del trasferimento affiorano, infine, come conseguenze
più o meno remote del processo che ho cercato di proporre in termini
sintetici. Mi rendo conto del fatto che lo scibile chiamato in causa supera
di gran lunga le capacità individuali e richiede una convergenza
di competenze, come quella che si verifica in questo convegno.
|