Materie prime e crisi bipolare: il caso congolese

Dott.ssa Maria Stella Rognoni

Università di Firenze

1) Le strutture del potere coloniale

Il Congo è il secondo Paese dell'Africa per estensione territoriale ; con una superficie di due milioni e trecentomila chilometri quadrati è grande ottanta volte il Belgio, che per ottanta anni ne ha detenuto il monopolio. Dal punto di vista delle materie prime il Congo venne definito uno "scandalo geologico" , per la quantità e per la varietà delle risorse di cui dispone: dal rame del Katanga, cui si associano il cobalto, ma anche l'argento, lo zinco, lo stagno, il carbone e il tungsteno, all'alluminio nella regione di Maniema e dello stesso Katanga settentrionale, ai diamanti del Kasai, all'oro, che si trova in particolare nel nord-est della Provincia Orientale e nel Kivu meridionale, e, ancora, notevoli sono le riserve di uranio, di radio e di germanio, senza escludere il petrolio, la scoperta più recente, lungo la costa atlantica.
All'epoca della colonizzazione belga, frutto dell'interesse e dell'iniziativa personale di re Leopoldo II, paradossalmente, proprio il Katanga, l'area più ricca del Paese sotto profilo delle risorse minerarie, venne annessa, sul finire del 1884, al resto dei domini del sovrano belga a guisa di compensazione per la perdita, a vantaggio della Francia, del territorio del Niari-Kwilou. Frutto di uno scambio che allora parve svantaggioso (le risorse del territorio ceduto alla Francia erano infatti già note, mentre nulla si sapeva dei tesori racchiusi nel sottosuolo katanghese), il Katanga si sarebbe rivelato di importanza vitale per l'evoluzione della colonia belga e determinante anche per gli sviluppi politici del Congo indipendente.
Concentrato nel redditizio settore del caucciù, ma costantemente preoccupato dalla necessità di incrementare le entrate per sostenere la sua azzardata impresa coloniale, Leopoldo aveva deciso di non occuparsi direttamente del settore minerario né di quello dei trasporti - attività molto impegnative da un punto di vista finanziario e ad alto rischio - bensì di concedere a compagnie private grandi aree di proprietà demaniale. Così, nel 1889, venne costituita la Compagnie du Chemin de fer du Congo, impegnata nella costruzione della ferrovia tra Léopoldville e Matadi, e tra il 1905 e il 1906 vennero fondate altre tre compagnie, che avrebbero dominato la vita economica del Paese nei decenni successivi : l'Union Minière du Haut-Katanga per lo sfruttamento del rame nella regione omonima, la Société Internationale Forestière et Minière du Congo per lo sfruttamento delle miniere di diamanti nella regione del Kasai e la Compagnie du Chemin de Fer du Bas Congo au Katanga. Tutte e tre le compagnie erano state costituite sotto l'egida della Société Générale de Belgique, un'istituzione finanziaria che disponeva della maggioranza delle azioni delle nuove nate e aveva essa stessa forti legami con la famiglia reale belga.
Senza addentrarsi nella complesso sistema coloniale creato da Leopoldo II importa, per comprendere l'evoluzione successiva delle vicende congolesi e il peso che in essa ebbe la dimensione economico-finanziaria, sottolineare come la colonia belga si reggesse su tre elementi fondanti: l'amministrazione coloniale, la Chiesa cattolica e i grandi gruppi finanziari
Se l'amministrazione era completamente in mano belga e l'educazione era monopolio della Chiesa cattolica belga, l'economia del Paese, durante il periodo coloniale, fu dominata da pochi grandi gruppi finanziari, fra cui il più importante era la Société Générale de Belgique. In parte residui del 'sistema di concessioni' creato da Leopoldo II per arrivare a un'occupazione rapida ed efficace del Paese, i grandi gruppi finanziari impegnati in Congo nelle attività più diverse, dallo sfruttamento delle piantagioni di olio di palma e di caucciù (il gruppo Lever, in particolare), a quello dei giacimenti minerari (soprattutto a partire dagli anni Venti), riuscirono, nonostante forti rivalità interne, a raggiungere l'obiettivo comune di prevenire l'ingresso nella vita economica congolese di nuovi attori e a mantenere quindi il controllo economico su gran parte del territorio, grazie anche ai potenti legami che seppero creare con la burocrazia coloniale. Non rappresentava un'eccezione il fatto che, ad esempio, funzionari coloniali ritiratisi da cariche nell'amministrazione andassero a ricoprire posti importanti nella varie compagnie, creando così una 'naturale continuità' fra queste e l'amministrazione stessa.
Improntata a un approccio paternalistico, la politica coloniale belga si fondava sulla convinzione che, nell'interesse della stessa popolazione congolese, dovessero essere i bianchi, e i Belgi in particolare, a detenere le redini del potere politico ed economico, dal momento che solo loro disponevano dei mezzi necessari per farlo nel modo più efficace. Nessuno sforzo fu dunque compiuto per sviluppare l'iniziativa locale, anche a costo di sacrifici in termini di efficienza: da qui l'assoluta impreparazione dei Congolesi nell'assumere le responsabilità derivanti dal trasferimento del potere politico dalle mani belghe a quelle africane. Così, solo sulla carta esisteva una forma di partecipazione congolese al governo della colonia : la sfera politica era di fatto rimasta chiusa alla maggioranza dei Congolesi. Basti pensare che è solo del 1959 il riconoscimento legale del diritto di associazione e della libertà di stampa. Questa situazione di assoluta dipendenza da parte congolese nei confronti della madrepatria si protrasse, praticamente immutata, fino all'indipendenza. Il 30 giugno 1960, a solo un anno e mezzo dai primi violenti scontri con Bruxelles, il Congo divenne indipendente.

2) L'indipendenza

Dopo il 30 giugno tre eventi cruciali trasformarono l'apparente successo della pari congolaise - il tentativo belga di decolonizzare in brevissimo tempo, ma nella massima concordia, così da garantire il mantenimento dei legami tra ex madrepatria e ex colonia - in una disfatta : l'ammutinamento della Force Publique, cioè dell'esercito congolese, iniziato il 5 luglio, il coinvolgimento militare belga e la successiva secessione del Katanga, annunciata dal presidente provinciale Tshombé, il 10 luglio. All'improvviso, dopo poco meno di ottanta anni di rapporto esclusivo, o quasi, fra colonia e madrepatria, il Congo indipendente veniva proiettato sulla scena internazionale nel modo più drammatico e meno facilmente controllabile, proprio per la complessità delle forze in gioco.
Sul piano della ricerca storiografica la crisi congolese offre spunti notevoli proprio perché nel Congo del 1960 due delle dinamiche più interessanti che caratterizzavano le relazioni internazionali del periodo, il nuovo tipo di confronto bipolare e il processo di decolonizzazione, si intrecciano e si influenzano reciprocamente. L'evoluzione dei rapporti fra Congo e Belgio non può quindi essere analizzata senza tener conto delle aspirazioni che la crisi suscitò nelle superpotenze, impegnate a guadagnarsi il favore esclusivo del nuovo Stato anche per infliggere all'avversario una sconfitta simbolica e concreta in termini di influenza sugli altri Paesi di recente indipendenza. Per gli Stati Uniti e per l'Unione Sovietica si trattò di un'occasione ideale per sperimentare nuove strategie di intervento in un contesto ancora fluido, benché segnato dagli anni della dominazione coloniale. Le Nazioni Unite, altro attore fondamentale nello scenario congolese del 1960, furono sfidate a organizzare un'operazione di peacekeeping senza precedenti. Per molti governi afro-asiatici, il conflitto costituì un'opportunità per apparire sulla scena mondiale, grazie soprattutto alla tribuna dell'Onu, e per alcuni di essi in particolare, come il Ghana di Nkrumah, la Guinea di Sekou Touré o anche la Rau di Nasser, uno sprone a scandagliare gli equilibri interni al continente africano, cercando a tratti di modificarli a proprio vantaggio. I Paesi europei infine - cioè il Belgio anzitutto, ma anche la Francia e la Gran Bretagna - ebbero non solo la possibilità di verificare il margine di influenza ancora esercitabile su un Paese appena divenuto indipendente, privo però dei mezzi necessari per gestire in modo autonomo l'indipendenza, ma anche l'occasione per vagliare i rapporti di forza all'interno dell'Alleanza atlantica.
Non solo : rispetto al tema delle materie prime e quindi all'intreccio fra dimensione economica e dimensione politica, il caso congolese appare ancor più emblematico. Proprio gli interessi economico-strategici spinsero infatti le varie potenze, nell'estate del 1960, a entrare in gioco. Il Congo, ovviamente, aveva un "peso" anche e soprattutto economico diverso rispetto, ad esempio, a quello della Guinea. Dal punto di vista occidentale, in particolare, la difesa di un certo tipo di ordine e di assetto politico in Congo divenne al tempo stesso un obbligo e un obiettivo imprescindibile. Anche nel campo occidentale, tuttavia, benché l'obiettivo di un Congo stabilizzato guidato da un governo affidabile fosse comune, coesistevano concezioni molto diverse sul percorso da seguire per raggiungere tale fine. L'entità e la natura degli interessi politico-economici in gioco comportò, per ogni Paese, notevoli variazioni nel grado di flessibilità ad accettare rischi e ad accogliere cambiamenti.

3) Alcuni attori

La linea adottata dal Belgio, nonostante le forti pressioni internazionali, fu improntata alla difesa ad oltranza delle posizioni acquisite ove possibile e, quindi, soprattutto in Katanga, finché a Bruxelles rimase al potere la coalizione liberal-cristiano-sociale capeggiata da Gaston Eyskens : un governo conservatore legato a filo doppio con l'establishment del grande capitale. L'inversione di tendenza, che risulterà determinante per gli sviluppi delle vicende sul terreno, sarà possibile solo con la salita al potere di un nuovo governo, di centro-sinistra. Il neo ministro degli Esteri Paul-Henri Spaak, grazie anche al proprio prestigio personale, potrà permettersi di sfidare gli interessi tradizionali e di optare per una nuova politica in Congo, pronta ad accogliere le richieste delle Nazioni Unite e capace così di dare un'immagine diversa del Paese.
Secondo l'analisi condotta dallo storico americano David Gibbs , un discorso analogo vale per gli Stati Uniti. La svolta nell'impostazione della politica americana in Congo compiuta da Kennedy non risponderebbe solo a ragioni politico-strategiche, ma a un diverso grado di coinvolgimento economico-finanziario del nuovo establishment rispetto a quello di Eisenhower. Secondo Gibbs, l'amministrazione Eisenhower (e uomini chiave al suo interno, dall'ambasciatore in Belgio, William Burden, al direttore della Cia, Allen Dulles), avendo interessi economico-finanziari specifici e diretti in Congo e in Katanga, in particolare, favorì la secessione della provincia ; al contrario, nel caso dell'amministrazione Kennedy, tali legami erano minori o di segno opposto, guardavano cioè con favore a un indebolimento del Katanga pro-belga. Il Presidente si trovò pertanto a disporre di maggior libertà di manovra e poté far prevalere le ragioni politico-strategiche sui calcoli economici.
La cautela mostrata dalla Gran Bretagna fin dallo scoppio della crisi, i continui appelli per il ristabilimento della "legge e dell'ordine" nel Paese rispondevano senza dubbio, oltre a motivazioni di tipo politico-strategico (si pensi alle possibili conseguenze destabilizzanti sui Paesi limitrofi che rientravano nell'orbita di influenza britannica o sotto il suo diretto controllo), anche alla necessità di salvaguardare precisi interessi economico-finanziari. Un'importante compagnia britannica, la Tanganika Concessions, deteneva, ad esempio, una partecipazione consistente nella Société Générale e forti legami con l'Union Minière. Il buon funzionamento dell'impero dell'Union Minière inoltre rientrava nella sfera degli interessi diretti di un'altra compagnia controllata da capitali britannici, la Benguela Railway, responsabile del trasporto della gran parte del rame del colosso belga, attraverso l'Angola, fino al mare. Questa rete di interessi economico-finanziari aiutano a collocare in una prospettiva più chiara alcune apparenti contraddizioni dell'atteggiamento seguito da Londra nel corso della crisi. Il governo britannico, infatti, condivise e appoggiò l'intervento dell'Onu in Congo, ma non cessò di raccomandare cautela nei confronti del Katanga e, in particolare, si oppose in modo netto a un'azione di forza per porre fine alla secessione di Tshombé.
Anche la Francia auspicava un rapido ritorno all'ordine in Congo, ma, lontana dalle posizioni anglo-americane, fu sempre ostile all'intervento delle Nazioni Unite, al punto da decidere di non partecipare alle spese per il mantenimento dell'operazione Onu, riducendo così in modo significativo il proprio spazio di manovra. Le ragioni alla base di questa scelta vanno ricercate soprattutto al di fuori del quadro congolese, non solo nell'evoluzione della crisi algerina, ma anche nelle valutazione sulla posizione e sul futuro degli Stati africani francofoni. Come la Gran Bretagna, anche la Francia fu sempre contraria a un intervento di forza in Katanga, ma, in questo caso, più che gli interessi economici ebbero peso considerazioni politico-strategiche legate al futuro della Communauté e al significato che un precedente pesante, come quello congolese, avrebbe potuto avere rispetto a situazioni che da lì a poco avrebbero visto Parigi in veste di protagonista.
L'Unione Sovietica, infine, non aveva interessi economici diretti da difendere nel Congo del 1960. Non per questo rimase passiva davanti al rapido succedersi degli eventi. La leadership di Lumumba, il suo progressivo allontanamento dalle posizioni filo-occidentali della prima ora e soprattutto l'inasprirsi dei contrasti fra il Primo ministro e la dirigenza dell'Onu accrescevano le speranze di Mosca, che sembrarono concretizzarsi sul finire del mese di agosto, nel momento in cui Lumumba chiese apertamente e ottenne un aiuto diretto da parte sovietica. Benché pochi giorni più tardi, con la deposizione di Lumumba, i Sovietici fossero costretti a lasciare il Paese, i continui timori occidentali riguardo a possibili infiltrazioni comuniste non cessarono. Certo è che il tema della presenza di tecnici sovietici sul territorio e di flussi di aiuti economici di matrice comunista fu probabilmente più importante come collante all'interno della coalizione occidentale, rispetto a quanto non riflettesse le reali dimensioni dell'impegno sovietico in Congo.

4) Osservazioni conclusive

Le materie prime, la risorsa fondamentale delle ricchezze congolesi, segnano come un filo rosso le vicende del Paese ; come commentava già nel 1966 Giovanni Giovannini, uno dei testimoni oculari della transizione all'indipendenza, "la storia finanziaria del Congo è in gran parte la storia tout court del Paese" . Ciò è senz'altro vero per l'epoca coloniale, quando proprio le risorse congolesi attrassero il grande capitale, che non si limitò a dettare gli assetti economici della colonia, ma per molti aspetti ne determinò la stessa evoluzione. Ma ciò è vero anche per la fase successiva : si pensi alle conseguenze immediate della secessione del Katanga sul precario equilibrio del Paese. Le prese di distanza, almeno ufficiali, dei Belgi e degli Occidentali in generale dalle mosse di Tshombé non poterono cancellare la convinzione, condivisa dagli stessi Congolesi, dal mondo africano e certo anche da quello comunista, che quanto accadeva nella provincia fosse il risultato diretto del tentativo estremo di difendere ricchezze e privilegi acquisiti, che, dal 30 giugno, si sentivano minacciati dagli sviluppi di un quadro politico nuovo, tutto da costruire e probabilmente assai meno controllabile rispetto al passato.
Proprio la preoccupazione di riportare in Congo una situazione di ordine e di sicurezza, la dimensione del controllo dunque, si ritrova quasi fosse una parola d'ordine nei documenti americani, britannici, francesi e belgi. E' indubbio che ordine e sicurezza fossero premesse essenziali per il ripristino di un equilibrio scardinato dall'ammutinamento della Force Publique e dalla situazione di guerra civile che ne seguì (a questo scopo era stata costituita l'Onuc), ma è altrettanto certo che ordine e sicurezza fossero condizioni indispensabili per la salvaguardia e la prosecuzione delle attività economiche i cui protagonisti continuavano a essere, anche dopo l'indipendenza, le grandi compagnie occidentali.
In questo senso il primo anno di crisi, che si conclude con la nomina a primo ministro di Cyrille Adoula, nell'agosto 1961, è cruciale : in questo arco temporale, infatti, l'evoluzione della crisi definì la collocazione internazionale del Paese africano in modo definitivo. Il Congo dell'estate 1960, con Lumumba premier, rappresentava un'incognita, cioè un terreno di competizione aperto. Di qui le preoccupazioni e le reazioni immediate delle potenze occidentali, impegnate nella salvaguardia di interessi di tipo economico ancor prima che politico. A un anno di distanza, il quadro era radicalmente mutato: al potere era giunto un moderato, ritenuto il candidato 'ideale' da parte degli Stati Uniti, capace però di guadagnare anche il consenso afro-asiatico e, di conseguenza, sebbene obtorto collo, quello sovietico.
Gli anni successivi, e in particolare il lungo regno di Mobutu Sese Seko, avrebbero sempre più rinsaldato i legami tra l'élite governativa locale, da un lato, e i governi occidentali e le grandi compagnie multinazionali, dall'altro. Questa situazione ha contribuito a perpetuare una distribuzione distorta delle ricchezze e non ha certo aiutato ad affrontare né tanto meno a risolvere i gravi problemi strutturali del Paese, che si sono puntualmente ripresentati a partire dagli anni Novanta, nel corso del lungo cammino verso il nuovo ordine - o disordine - internazionale.