La questione dell'uranio negli anni Quaranta e Cinquanta

Dott. Nico Frandi

Istituto Universitario Europeo - Firenze

Parlare oggi della questione dell'uranio negli anni quaranta e cinquanta come di un problema di politica internazionale può apparire quanto meno stravagante e non a torto può evocare concetti quali quelli di mito, leggenda, vana speranza. Eppure la questione del controllo dell'uranio occupò una tale centralità e priorità negli alti circoli decisionali americani per almeno un de-cennio da generare scelte e produrre azioni cariche di notevoli conseguenze sia per quanto ri-guarda le relazioni est-ovest sia per quanto concerne i rapporti tra gli Stati Uniti e gli alleati del blocco occidentale. Occuparsi della questione dell'uranio negli anni quaranta e cinquanta significa perciò e in primo luogo occuparsi della politica americana in quegli anni.

Nel tentativo di ricostruirne l'andamento si possono individuare due distinte fasi. La prima fase va dal settembre 1942, dalla nomina del Generale Leslie Groves a capo del Manhattan En-gineer District, al dicembre 1953, ossia alla proposta in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del progetto Atoms for Peace da parte del Presidente Eisenhower. Questa fase fu contraddistinta dalla segretezza e dall'approccio unilaterale degli Stati Uniti; segretezza a scopo mili-tare durante gli ultimi anni della seconda guerra mondiale, segretezza a scopo essenzialmente civile-industriale dopo il McMahon Act passato dal Congresso americano nel 1946. La seconda fa-se va dal 1954 sino ai primi anni '60, caratterizzata dalla soppressione del segreto scientifico, dall'avvento del controllo internazionale della materia prima in strutture e secondo procedure multilaterali, dal contemporaneo avvio dello sviluppo industriale del nucleare e della prima proliferazione degli ordigni nucleari. Ciò che risulta interessante, nell'ambito di questa ricerca, è la profonda linea di continuità che emerge nella politica americana e nella concezione che gli Stati Uniti ebbero della propria posizione egemonica in seno alla comunità internazionale, sia pur tenendo conto del mutamento di strategia dalla prima alla seconda fase e più in generale dei radicali cambiamenti che segnarono il passaggio dalla guerra combattuta alla guerra fredda sino alla prima fase della distensione nell'arco del ventennio considerato. Una linea di continuità che per certi versi arriva fino ai nostri giorni, riproponendo il tema del gap tecnologico e della ineguale distribuzione di risorse immutato sia pur sotto diverse spoglie (basti pensare, per fare un solo esempio, alla quanto mai attuale questione della difesa e della sicurezza e al relativo rapporto tra Stati Uniti e Europa).

La questione del controllo dell'uranio come problema di politica internazionale affonda le sue radici negli anni della seconda guerra mondiale. La segretezza fu uno dei cardini sui quali l'intera questione fu improntata, ben al di là degli anni del conflitto bellico. Fu lo scienziato Leo Szilard, della Columbia University di New York, a rivolgere per primo nel 1939 un appello ai suoi colleghi in America e in Europa affinché fosse mantenuto il più stretto riserbo sui risultati raggiunti negli esperimenti di fisica nucleare. Nell'estate di quello stesso anno Einstein scrisse direttamente al presidente Roosevelt per metterlo al corrente della straordinaria possibilità che la scienza nucleare aveva in quegli anni prospettato: la fabbricazione di "una bomba molto potente di un nuovo tipo". Nella sua lettera Einstein indicava anche le fonti di uranio nel mondo allora note: in Canada, nell'ex-Cecoslovacchia e soprattutto nella colonia belga del Congo, nella regione del Katanga. Dall'ottobre del 1939, momento in cui il presidente Roosevelt si decise a rispondere allo scienziato tedesco, la questione del controllo dell'uranio fu sempre presente negli alti circoli decisionali degli Stati Uniti, sino a occupare una posizione dominante nelle scelte strategico-militari e politiche, durante la seconda guerra mondiale e poi negli anni della guerra fredda, per poi perdere d'importanza nella fase della prima distensione agli inizi degli anni sessanta.
La segretezza sul Manhattan Project, il progetto americano per la costruzione del primo ordigno atomico, fu sentita come una esigenza imprescindibile da colui che ne fu nominato capo il 17 settembre 1942, il Generale Leslie Groves. Se l'uranio costituiva la materia prima indispensabile alla costruzione di un ordigno nucleare, il controllo dello stesso rappresentava il primo fondamentale passo da compiere, ammesso che il minerale fosse una materia prima scarsa. La presunta scarsità dell'uranio e la segretezza del progetto nucleare furono pertanto due elementi strettamente legati tra loro e costituirono le due premesse basilari su cui gli Stati Uniti elaborarono i piani per una costosissima campagna diplomatica di acquisizione e controllo dell'uranio. Comprendere l'importanza di queste due premesse significa capire più a fondo le ragioni della collaborazione anglo-americana, ma anche le difficoltà di quella "special relationship"; significa scorgere una possibile ulteriore (o alternativa) ragione per la scelta di Truman di impiegare la bomba atomica sul Giappone; significa, soprattutto, individuare una delle cause che furono all'o-rigine della guerra fredda. In questa sede, sia per ovvie ragioni di tempo sia per dar maggior risalto a quella linea di continuità nella politica americana a cui ho fatto riferimento poc'anzi, tralascerò i primi due aspetti per concentrarmi esclusivamente su l'ultimo di essi, ossia il controllo dell'uranio come causa della guerra fredda.

Durante gli anni della seconda guerra mondiale, la competizione per lo sfruttamento milita-re dell'energia sviluppata con la fissione nucleare aveva riguardato soltanto la Germania e gli Stati Uniti. Francia e Inghilterra, le quali erano state le prime a avviare un programma nucleare, avevano visto bloccare la loro iniziativa dall'offensiva tedesca. Una volta che la guerra fosse definitivamente conclusa - per di più con l'impiego della bomba atomica e la dimostrazione al mondo intero della completa possibilità della sua fabbricazione - la segretezza sulle informazioni scientifiche non sarebbe durata a lungo, come anche gli scienziati che avevano preso parte al progetto americano non trascurarono di ammonire. Era prevedibile che in numerosi paesi prendesse corpo la volontà politica di avviare, o potenziare, la ricerca nucleare per poter sfruttare le potenzialità militari e industriali dell'energia nucleare. Nell'estate del 1945 due paesi sarebbero usciti dal conflitto mondiale con una posizione dominante nel nuovo assetto politico internazio-nale ma reciprocamente contrastante sul piano politico e ideologico: gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Quest'ultimo paese aveva avviato un programma per l'esplorazione delle fonti di uranio presenti sul suo territorio e per i possibili impieghi scientifici di tale materia prima sin dall'estate del 1940; un primo progetto atomico era decollato nell'estate del 1942 ma l'accelerazione verso la fabbricazione della bomba atomica giunse solo nell'agosto 1945 per volontà di Stalin.

Questo preciso quadro della situazione politica internazionale era stato oggetto di una lungimirante analisi da parte di Leslie Groves, il quale, sin dai primi momenti della sua nomina a capo del Manhattan Project, aveva considerato l'Unione Sovietica come il vero nemico da battere; il nemico contro il quale sarebbe stato necessario organizzare nella massima segretezza una campagna per l'acquisizione e il controllo dell'uranio, il nemico contro il quale sarebbe stato tenacemente difeso il monopolio atomico. Truman e la sua amministrazione si allinearono a questo disegno politico solo tra la primavera e l'estate del 1945, vale a dire tre anni dopo che esso era stato concepito e attuato con metodica ostinazione per volontà di un solo uomo. Questo dice anche quanto potere avesse accumulato Groves, assieme a una ristretta sfera di stretti collaboratori militari, all'interno dei circoli politico-decisionali americani. Non a caso tra i negoziatori anglo-americani incaricati di trattare con paesi terzi per il controllo delle loro materie prime, dal Belgio nel 1944 sino al Sud Africa nei primi anni cinquanta, furono sempre presenti militari. Ancora più sintomatico è il fatto che sino all'approvazione nel Congresso degli Stati Uniti dell'Atomic E-nergy Act del 1946, il settore civile americano, Senato compreso, restò quasi completamente all'oscuro della politica estera americana in materia di controllo dell'uranio.
Sino all'accordo tripartito del settembre 1944 tra Stati Uniti, Inghilterra e Belgio, pietra angolare della diplomazia americana del controllo dell'uranio, il bisogno di questa materia prima era stato dettato dalle necessità del Manhattan Project e la campagna per l'acquisizione del minerale era stata scandita dai ritmi della guerra. Dall'ottobre 1944, nel momento in cui tutto l'uranio congolese era stato assicurato agli Stati Uniti e il Combined Policy Committee - il comitato allea-to istituito da Roosevelt e Churchill nell'agosto 1943 per dirigere la diplomazia dell'uranio - aveva approvato un rapporto sulle fonti del minerale esistenti nel mondo stimando un controllo anglo-americano di oltre il 90% delle fonti di uranio allora note, la diplomazia dell'acquisizione delle materie prime radioattive (uranio ma anche torio) fu intenzionalmente perseguita per precluderne l'accesso a ogni altro paese e, con ciò, per ritardare il più possibile la realizzazione di ogni altro progetto atomico, primo fra tutti quello dell'Unione Sovietica.
Continuando a basarsi sul corollario della segretezza e sulla premessa della scarsità, il controllo dell'uranio divenne l'altra faccia, quella nascosta, della politica estera americana, la cosiddetta "politica di preemption." Tra il 1945 e il 1947, mentre da una parte gli Stati Uniti si mostra-rono disponibili a una politica del dialogo con l'Unione Sovietica, e si fecero artefici di iniziative di grande respiro sul piano internazionale (quali la proposta Acheson-Lilienthal alle Nazioni Unite per il controllo internazionale dell'energia nucleare), dall'altra essi attuarono la politica di preemption con ingente sforzo e con senso di urgenza, allo scopo di ritardare all'Unione Sovietica il conseguimento della bomba atomica. Negoziati segreti furono condotti con il Brasile, l'Olanda, la Svezia nel corso del solo 1945. Si trattava di ottenere il massimo controllo possibile di uranio e torio (Groves auspicò il raggiungimento in breve termine di un monopolio anglo-americano sull'uranio al 97,5%), prima che un accordo internazionale impedisse a tutti di accedere liberamente a quelle materie prime. Dopo il fallimento del piano Acheson-Lilienthal, per l'op-posizione del delegato sovietico in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la campagna diplomatica per il controllo delle materie prime non perse il suo tono aggressivo e non fu mai completamente interrotta, anche se fu condotta con ritmi altalenanti e brusche accelerazioni. Una di queste fu impressa nel 1950, dopo la scoperta della prima esplosione atomica da parte dell'Unione Sovietica e l'emergere della fitta rete dello spionaggio sovietico in seguito all'arresto di Klaus Fuchs; tuttavia, non si trattava già più di politica di preemption - palesemente fallita - bensì di corsa agli armamenti.
La politica di preemption conteneva in sé i germi del fallimento; non solo essa era scaturita da una premessa infondata, quella della scarsità dell'uranio - di cui gli Stati Uniti si sarebbero resi conto pienamente solo nel 1952, di fronte alle numerose e consistenti scoperte di nuovi giacimenti di uranio nel mondo - ma era stata concepita per dare i suoi frutti solo se attuata nella massima segretezza. Proprio questo aspetto, più di ogni altro, colloca il controllo dell'uranio tra le cause che scatenarono la guerra fredda. Stalin ricevette informazioni sui progressi americani in materia di energia nucleare sin dal 1942-43, ma ciò non lo spinse a sviluppare con la stessa celerità e gli stessi sforzi degli Stati Uniti il proprio programma nucleare. Questo fu fatto solo a partire dal 18 agosto del 1945, dopo che gli Stati Uniti avevano usato la bomba atomica contro il Giappone e, soprattutto, dopo che Stalin era stato informato, presumibilmente dalla spia Donald Maclean, dei negoziati che gli anglo-americani avevano avviato con il Brasile, l'India, l'Olanda e la Svezia per il controllo del torio e dell'uranio. La politica di preemption, con il suo obiettivo del raggiungimento di un monopolio dell'uranio, se valutata oggi, appare come uno stravagante e ambizioso progetto di supremazia, tanto globale nella sua portata quanto impossibile da realizzare concretamente. D'altra parte, come afferma Helmreich, "se il sogno era stato così potente da produrre la bomba, perché non avrebbe potuto essere abbastanza potente da ispirare visioni di egemonia?"
Nel 1945 la politica di preemption mostrò ai sovietici la duplicità dell'atteggiamento degli Stati Uniti. La diplomazia occidentale del controllo dell'uranio, in quanto nota a Stalin, alimentò i suoi sospetti sui reali propositi degli Stati Uniti in una fase fluida ed embrionale delle relazioni est-ovest e spinse l'Unione Sovietica a raggiungere il traguardo dell'atomica nel tempo più breve possibile. La guerra fredda aveva avuto inizio, nella mente di Groves, nel settembre 1942; essa si era tradotta da subito in azioni concrete le quali, tuttavia, erano confluite in un più vasto e ufficiale progetto di politica estera americana solo dalla primavera/estate del 1945. Gli Stati Uniti avevano, per così dire, anticipato la guerra fredda, ne avevano introdotto una causa destinata a durare almeno sino al 1949.

A partire da quella data e sino al 1952, il controllo dell'uranio fu più una conseguenza che una causa dello scontro bipolare. La competizione tra le superpotenze si spostò sul piano della tecnologia produttiva di testate nucleari e dei relativi vettori di trasporto. Con la scoperta di nuove e abbandonanti fonti di uranio nel 1952, la guerra di Corea, l'ingresso dell'Inghilterra nel club atomico e la contemporanea esplosione del primo ordigno termonucleare da parte dell'Unione Sovietica, erano venute meno le due premesse della scarsità e della segretezza sulle quali la di-plomazia americana dell'uranio era stata costruita. Se aveva avuto senso difendere un monopolio americano della materia prima e dell'ordigno atomico sino al 1949, durante la prima metà degli anni cinquanta assumeva crescente importanza la difesa di un monopolio tecnologico per l'impiego sia militare sia civile dell'energia nucleare. Con il piano Atoms for Peace, Eisenhower intese assicurare agli Stati Uniti negli anni a venire la leadership nella fornitura di reattori nucleari e di know-how scientifico agli alleati in Europa e altrove. Presentato come un'opportunità per contenere la proliferazione nucleare sotto l'egida delle Nazioni Unite, facilitare le relazioni est-ovest e promuovere l'impiego pacifico dell'energia atomica, il piano di Eisenhower consentì l'effettiva instaurazione di un regime internazionale di controllo e di sviluppo di energia nucleare a scopi pacifici ma portò anche un notevole vantaggio economico agli Stati Uniti dal momento che il solo reattore nucleare ad essere commercializzato su scala mondiale divenne il Light Water Reactor, ossia il reattore di produzione americana. I cardini della nuova strategia americana divennero da una parte la creazione di una Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica con un sistema di garanzie per impedire applicazioni militari dell'energia nucleare, dall'altra gli accordi bilaterali di cooperazione in materia di energia nucleare con i quali gli Stati Uniti consentirono a 26 paesi, nel corso di pochi anni, di dotarsi di reattori nucleari, know-how e uranio arricchito per l'avvio di un'industria nucleare nazionale in cambio della rinuncia all'impiego militare. Nell'ambito degli accordi bilaterali, merita particolare menzione l'accordo concluso con la neonata Euratom, nel novembre 1958. Nello stesso anno in cui gli Stati Uniti annunciarono la cessazione delle importazioni di uranio (invalidando così ufficialmente la premessa della sua scarsità), la fornitura di uranio arricchito ai sei paesi fondatori del processo di integrazione europea e la sovvenzione finanziaria di programmi di ricerca a scopi pacifici delimitavano gli ambiti di autonomia dell'Europa sul piano nucleare e confermavano la politica del controllo americano. Una politica non più improntata alla segretezza e all'azione unilaterale, come era stato durante gli anni '40, bensì retta da schemi di aperta cooperazione multilaterale ma non per questo meno efficace e duratura, in quanto fondata sulla superiorità tecnologica.

Se è lecito affermare che con la politica nucleare dell'Atoms for Peace gli Stati Uniti aumentarono la sicurezza del blocco occidentale durante le fasi più aspre del confronto bipolare creando le condizioni per la firma del trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari nel 1963 e del trattato di non proliferazione del 1968, è pur vero che non fu risolto il problema della distribuzione di risorse scarse. In un mondo ideologicamente diviso in blocchi, con una comunità internazionale frammentata in super, medie e piccole potenze e un altrettanta disomogeneità tra paesi in via di sviluppo e paesi in corso di decolonizzazione, la questione del controllo di risorse economiche scarse e del loro impiego per fini politici diventa cruciale. Scrive Kratochwil che "il multilateralismo è attuabile solo quando i partecipanti accettano come criterio guida la reciprocità diffusa oltre ad adottare principi generali non discriminatori." In questo senso, il piano Atoms for Peace e la conseguente politica americana in materia di energia nucleare ebbero connotazioni più unilaterali che multilaterali e furono rivolti alla realizzazione di un preciso interesse economico nazionale. Dopo il 1954, la risorsa economica da distribuire non era più l'uranio ma la tecnologia nucleare. Dopo il 1958, la dipendenza dei paesi europei, nonché degli altri paesi gravitanti nell'orbita occidentale, dagli Stati Uniti non riguardò soltanto la sicurezza fornita in modo più o meno credibile dall'ombrello atomico ma investì anche lo sviluppo industriale e commer-ciale in materia nucleare. Il passaggio dal controllo militare al controllo civile dell'energia nucleare verificatosi negli Stati Uniti nell'immediato dopoguerra, così come l'internazionalizzazione del controllo della materia prima nel 1954 non alterarono la natura egemonica della politica americana.